venerdì 24 novembre 2017

Amicizia questa sconosciuta...

I sentimenti hanno sempre fatto vivere e morire, grandi poeti hanno raccontato i sentimenti conditi spesso da dolore, lacrime, abbandoni, per poi arrivare alla fatidica morte.
Parlare di amicizia appare quasi una cosa scontata, tanto inflazionata, troppo pubblicizzata. 
E' un tema ripercorso in continuazione dalla cinematografia, dalla pubblicità, e spesso pensiamo che sia semplice incontrare un amico/a con il quale riuscire a percorrere un periodo insieme, dividendo risate, allegria, divertimento...e poi quando questo finisce e arrivano momenti non proprio divertenti, ti giri e ti accorgi che quella persona non c'è più!!!
Ma cosa è successo, qui iniziano le domande che non avranno mai una risposta, anche perchè chi ti potrebbe rispondere è sparito, volatilizzato, eclissato.
Ecco che ti rendi conto solo allora che l'amicizia era un sogno, un ideale, una chimera il tuo amico non c'è più, cosa puoi aver fatto di così terribile che ha fatto fuggire a gambe levate il tuo grande amico? Forse non sei stato troppo corretto, forse hai detto parole sbagliate e senza senso, forse lo hai ferito senza volerlo...
Niente di tutto questo, è solo finito il tempo del divertimento, sei entrato in quella fase negativa dove non sei più a completa disposizione, i tuoi problemi, le tue difficoltà non interessano nessuno, meno che mai il tuo amico/a. 
Ed è qui che ti ritrovi solo, a dover trovare la soluzione più consona al tuo problema senza avere aiuto e conforto, sto parlando di discorsi, di parole, non parlo di aiuto materiale, ma di ascolto!
Proprio ieri su facebook ho visto un post che ha colpito molto la mia attenzione, un appello a dare aiuto a quelle persone che nella loro angoscia finiscono per mettere fine alla loro vita. Molto bello e sicuramente la persona che lo ha fatto lo ha fatto con il cuore, ma poi quando veramente ci si ritrova in una situazione simile chi è veramente propenso all'aiuto?!
Parlo di queste situazioni perchè è accaduto anche a me di ritrovarmi da sola, dopo aver aiutato persone a superare i loro drammi, divorzi, abbandoni, problemi con i figli, per arrivare a quelli che comportano problematiche della salute. 
Proprio ieri per puro caso ne ho vista una, parlo di quell'amica  a cui avevo donato molto tempo e ascolto. 
L'ho vista e penso che anche lei mi abbia vista, ma come spesso accade in queste situazioni ha abbassato la testa! Ma guarda il caso, lei che mi ha snobbata in un momento di grande difficoltà, a cui avevo raccontato il mio problema che non era banale, da cui speravo comprensione e appoggio.
Quando ho avuto bisogno mi sono ritrovata da sola, pensavo che avendo donato avrei ricevuto, ma non è così, il confessore deve ascoltare, ma non può essere ascoltato. 
In un mondo fatto di apparire e di apparenze ci stiamo lasciando morire alla solitudine, siamo sopraffatti di chiacchiere ed immagini, ma siamo abbandonati nei nostri dolori, che silenziosamente a volte ci trascinano verso una strada senza ritorno. Siamo bravi a giudicare, ma non sappiamo consolare, riusciamo a sapere tutto di tutti, ma non siamo capaci di essere compassionevoli.
Non parlo di quella compassione patetica e presuntuosa, ma della compassione vera e profonda, che etimologicamente  deriva dal latino "cum patior" , soffro con.
Nel tempo siamo riusciti a cambiare totalmente questo significato rendendo questa parola un concetto non ben definito di pietà quasi dispregiativo. 
Eppure il suo significato è nobile ed elevato, è la partecipazione alla sofferenza di un altro essere, vuol dire comunione profonda con il dolore che non è nostro ma che appartiene all'essenza di altri esseri umani.
Riporta al concetto di amore, amore incondizionato che non chiede nulla in cambio.

Allora mi domando quanto siamo capaci di mettere in opera questa trasformazione profonda, quanto siamo capaci di metterci nei panni dell'essere umano che sta soffrendo senza declamare le nostre facili soluzioni, quanta capacità e volontà abbiamo nel mettere la nostra amicizia, all'ascolto e all'abbraccio del dolore altrui?

Spero che ognuno di voi riesca a ritrovare questa forza che tutti noi possediamo ma che è stata sopraffatta dall'egoismo e dalla superficialità, dobbiamo ricordarci che è facile scivolare dall'altra parte del recinto!



Un ASCOLTO e un abbraccio grande a tutti quelli che lo desiderano e che ne hanno bisogno!


Doriana

lunedì 13 novembre 2017

Feuilletton n°5...la storia continua

Spero vi siate appassionati alla storia della mia famiglia materna, fatta di semplicità, ma piena di imprevisti e di forza.
Eravamo rimasti (feuilletton n°4) alle tre sorelle, che avevano scelto ognuna la sua strada lavorativa, e da li' che voglio continuare.
Nonna Angela sposò molto tardi nonno Francesco, un uomo grande, alto, possente, di famiglia benestante con possidenze terriere, il cognome era Candida, un uomo di fine ottocento. Si sposarono contro il parere dei genitori di mio nonno che ritenevano nonna Angela non adatta a lui, secondo i criteri dell'epoca doveva sposare un'altra donna più ricca, ma a lui non piaceva perchè brutta e sporca.
A quei tempi oltre alle terre aveva un mulino per la farina.
Dovevano essere periodi non facili dove la medicina era ancora molto arretrata come conoscenze per questo a causa di una brutta congiuntivite avevano dovuto asportargli un occhio che era stato sostituito da uno di vetro. Da piccola non lo sapevo e non me ne ero mai accorta, accadde un giorno che casualmente aprii un cassetto per prendere un mazzo di carte, e vidi questi due occhi che mi guardavano dal fondo del cassetto e capii che il mio dolce nonno aveva una protesi oculare.
Lo ricordo alto, e sempre con il cappello di feltro tipo panama di colore avana, nonostante la sua altezza non mi ha mai fatto paura, adorava le carte da gioco, un vizio che mia nonna Angela non sopportava, a volte faceva tardi al bar del paese e nonna che era una donna forte e volitiva lo chiudeva fuori di casa facendogli passare la sera al fresco.
Intanto la famiglia Candida cresceva, un po' come "piccole donne", Pasqua incontra il suo amore Luciano, maestro elementare come lei e si sposano.
Mia madre, Mariangela, si innamora di un carabiniere, Antonio, mio padre, che per sposarla lascia l'arma in quanto all'epoca non era possibile sposarsi se non dopo aver compiuto ventotto anni.
Tutti e due hanno la stessa età non so come si siano conosciuti, forse una amica comune. Mio padre, lasciata l'arma che forse non faceva più per lui, inizia a lavorare in fabbrica, la Bomprini Parodi Delfino, detta B.P.D. come operaio.
Decidono di sposarsi e prima ancora che questo avvenga iniziano le tragedie. Mio padre come tanti maschi è succube di sua madre, nonna Cristina, appassionata religiosa bigotta, legata a San Antonio da Padova, forse per questo motivo il nome di mio padre.
Riesce a convincere mio padre a darle i soldi guadagnati durante la sua permanenza nell'arma, perchè servivano alla famiglia per acquistare altri terreni da coltivare, anche loro contadini possidenti  ricchi e taccagni, assicurandogli che glieli avrebbe restituiti prima di sposarsi.
Lui confidando in questo insieme a mia madre decidono la data l'11 settembre 1956, hanno compiuto ventisei anni, alcuni giorni prima del matrimonio mio padre richiede i soldi a suoi genitori, che semplicemente glieli negano dicendo che non li avevano.
Antonio confessa a Mariangela, pochi giorni prima, di non avere i soldi per pagare il matrimonio, tutto era pronto, la chiesa, il ristorante, tutto il paese sapeva del loro matrimonio.
Mia madre è stata sul punto di mandare tutto all'aria, venuta a conoscenza dell'inganno non voleva più sposarsi; nonna Angela e le zie la convincono a mandare avanti le cose, e a pagare tutto furono loro, i miei nonni.
Inizio negativo e tragico, le foto tutte rigorosamente in bianco e nero, ritraggono mia madre triste e mio padre in imbarazzo.
Tutto questo preceduto da una infausta precognizione di mia nonna che aveva presagito a mia madre di non sposare Antonio perchè un operaio non avrebbe mai avuto la capacità di farla vivere come mia madre era abituata. Lei candidamente rispose che ce l'avrebbe fatta, questo è il sintomo più grave che produce l'amore.
Si sposano e lavorano, a dicembre mia madre resta incinta di me, grande gioia che sarà presto accompagnata da un grande dolore, mia nonna Angela a maggio del 1957 muore, un problema cardiaco che per l'epoca portava sempre a conseguenze infauste.
Il suo stato non era stato preso molto seriamente dal medico curante, allora a pagamento, che riteneva responsabile l'affanno di mia nonna al suo peso.
La mia nonnetta era bassina e paffuta, bionda e con i capelli ricci, lunghi e tantissimi, che portava come era uso in quegli anni raccolti in uno chignon sulla cima della testa con una leggera flessione ai lati del viso, di lei mi rimane una foto in bianco e nero. 
Secondo il medico questa era la causa della sua fatica nel muoversi, o salire le scale, o fare altre attività semplici legate alla vita quotidiana.
Dopo un forte malore, viene subito ricoverata in una clinica a Roma, ma ormai era troppo tardi per intervenire, muore stroncata da un infarto.
Mia madre al quinto mese di gravidanza viene a contatto con un dolore così grande come la morte di sua madre, ma nello stesso istante io nella pancia conosco il vero soffrire della vita... la morte.
 Nasco come era consuetudine a quei tempi, in casa e precisamente nella casa di famiglia a Gavignano dove erano vissute le mie nonne, le mie zie, mia madre, una casa con un grande significato per me.
Sembra dai racconti fatti da mia madre sia andato tutto bene, la levatrice, così si chiamava l'ostetrica allora, mi ha fatto nascere sana, in ottima forma, peso 4,200 kg, piango subito, e a detta dei molti che mi hanno conosciuto ero molto bella.
Credo di aver ridato il sorriso a mia madre, dopo la Morte, prepotente torna la Vita, la gioia.
A quei tempi avere il latte per una madre era un dono enorme, e mia madre ne aveva tantissimo, tanto da sfamare me ed un altro bimbo, era consuetudine aiutare altre madri meno fortunate.
Ho conosciuto da grande quella specie di fratello, che inconsapevole aveva preso il mio stesso alimento, quel latte ci aveva nutriti ed aiutato a crescere.
Era un tipo strano, forse oggi lo definiremo autistico, non socializzava con nessuno, viveva in un mondo fantastico, adorava disegnare, lo vedevo un po' come un Ligabue moderno. Ricordo la sua voglia di disegnare, mi fece un ritratto su un foglio di carta e con una matita, mi spiegava il chiaro scuro, in modo semplice e molto primitivo apparii su quel foglio, avevo i baffi, ma lui mi disse con quella semplicità che è data solo ad esseri particolari, che quella era l'ombra!
Non vi so dire che fine abbia fatto, non ricordo neanche il suo nome, ricordo solo che era per il paese uno zimbello, deriso, additato come un folle, un fuori di testa, a me faceva tenerezza, forse per il fatto che tutti e due avevamo alcune cose in comune; il desiderio della pittura, e il latte che ci aveva fatto crescere!
Dopo qualche anno andammo a vivere a Colleferro, in un grande palazzo, all'ultimo piano, in poco tempo la mia famiglia era cresciuta, si erano aggiunte in soli tre anni altre due sorelle.
Ma questa è un'altra storia...
La vita rivista sotto forma di scrittura serve per non tralasciare il bello, e per condividere il brutto, forse diventa più leggero proseguire, ma soprattutto ottieni un chiarimento alle tue fatiche, dolori, rinunce, in questo modo gli dai il giusto valore e trovi una spiegazione.



 Questa sono io e la mamma, sulla piazza di Gavignano!










Grazie

Doriana