giovedì 1 novembre 2018

Ti racconto una storia... Le donne guerriere


Prefazione

Difficile descrivere quello che ti riguarda tanto da vicino da essere te stessa. Voglio far diventare una storia vera una fiaba, una favola di questi tempi per provare a comunicare a molte donne quello che si prova durante una malattia così invadente, invalidante, che mortifica la femminilità.
Il cancro al seno, che corrode il corpo e distrugge la mente, alienando l'anima.
Questa favola ci aiuterà a lasciare andare il dolore, quello che ha il colore Nero, che porta il suono Cupo, che non ti fa vedere la Luce.
Spero di riuscire in questo intento e di portare a leggere questa storia, portando una consapevolezza che si può vincere attraverso il dolore la tristezza, diventare "GRANDI"
                                                Doriana


Una mattina di ottobre mi ritrovo seduta su una panchina, il sole limpido che splende sopra la mia testa, la confusione che sovrasta la mia mente, la risposta dell'ecografia nelle mie mani.
Tante volte ho fatto controlli, mammografia, ecografia, ma questa volta è diverso, la risposta è terribile: "L'indagine mostra massa solida del QSE della mammella destra di 3 cm a contorni irregolari, la score elastosonografico è di tipo 3-4 infiltrante, Due linfonodi di 8mm del cavo ascellare destro".
Leggo e rileggo, e sembra quasi che non riesco a capire, ma la sentenza è chiara, cancro del seno dx con due linfonodi presi dalla malattia.
Sento un vuoto interiore, è come se non riuscissi a provare niente, come se questo non mi appartenesse. Cerco nella memoria cosa possa aver determinato questo, sono sempre stata una salutista a dir poco perfetta, niente fumo, niente alcolici, alimentazione al limite della perfezione, non ci sono casi familiari. Allora cosa ha fatto crescere questo Alien??!
Mi accorgo di essere arrivata al solito posto dove spesso mi raccolgo quasi in preghiera, dove arrivo a meditare nel più assoluto silenzio, contemplativa, e silenziosa ritrovo la serenità profonda dell'anima.
Seduta sulla mia solita panchina di fronte alla Porta Magica, la guardo senza vederla, come sempre quando ho un dolore, una difficoltà, qualcosa a cui non so dare risposta, mi siedo in silenzio, osservo quel riquadro con i due guardiani che sembra volerti dire che non a tutti è permesso varcare quel luogo, che non tutti possono comprendere quello che si nasconde oltre quell'antro apparentemente chiuso, aperto solo alle menti elette.
Tutto svanisce, riesco a leggere la scritta sopra la porta "tri sunt mirabilia a deus et homo mater et virgo trinus et unus", ritrovo nelle mie memorie l'antico latino, riesco a distrarmi traducendo la frase;
"tre sono le cose mirabili: Dio e l'uomo, la madre e la vergine, l'Uno e il Trino". Sposto il pensiero a tutto quello che mi ha sempre affascinato, l'alchimia, la magia, l'esoterismo, e torno ad un lontano ricordo, quando da bambina credevo fermamente di appartenere all'antico popolo delle amazzoni.
Donne di estrema forza non solo fisica ma morale interiore con la capacità di vivere senza quella estrema parte virile, facendo a meno del maschio.
Rispolvero le mie conoscenze, e fantastico come sarebbe stata la mia vita se fossi appartenuta alla loro etnia, alla loro perfetta società: " guerriera ardita, che succinta e ristretta in gregio d'oro l'adusta
mamma, ardente e furiosa tra mille e mille, ancor che donna e vergine di qual sia cavalier non teme intoppo".
Vago tra tanti ricordi e tornano le mie peripezie matrimoniali, rivedo gli ultimi momenti con Alteo, mio marito, desiderato, amato, sposato con l'anima e con il cuore. Riprovo dolore a tutto quello accaduto negli ultimi anni tra me e lui, silenzi, indifferenza, quasi fossi trasparente, nella continua ed assoluta incapacità di parlare, di riuscire a spiegare cosa stesse accadendo tra di noi, a volte non riuscivo a trattenere le urla della mia anima che ferita e mortificata dalle continue menzogne usciva dalla bocca che si spalancava in urlo feroce carico di dolore assolutamente non ascoltato, a volte deriso. Cosa ci aveva portato a tutto quel non vederci più, eppure pensavo che ci fosse molto tra noi, abbiamo sempre fantasticato sul nostro incontrarci fatto di magia, il nostro rapporto qualcosa di alchemicamente perfetto.
Quel mostro che stava crescendo nel mio seno lo avevo generato pensando che potesse rendermi visibile ad un uomo che non provava per me nessun sentimento, fosse anche quello più materiale del sesso, oltrepassava la mia persona continuando a guardare oltre dove non vedevo il suo punto, dove guardi ogni volta che stiamo parlando? Cosa pensi ogni qualvolta ti propongo un discorso un pensiero una idea una scemenza, come quando si parla del più e del meno, il tempo, la politica, niente ti interessa, ma la cosa che fa più dolore il tuo continuo ripetermi "cosa hai detto? Non ti sento!!", già!, non sentire quell'essere che cerca di attirare la tua attenzione anche con delle cose banali sciocche, pur di essere presa in considerazione.
Anni passati insieme, nelle difficoltà di vita per il tuo lavoro, non sempre perfetto e amato da te, che per una eternità mi hai ripetuto che non eri nato per fare quel tipo di lavoro che stavi facendo, quasi fossi stato costretto dal nostro stare insieme. Il nostro incontro magico e fantastico si era ormai tramutato in un incubo, in una orrida sequenza monotona di vita banale, la cosa che almeno avevamo evitato, d'accordo o quasi, era di non avere figli, cosa che avevo accettato pur di avere te, avevo dovuto fare una scelta che tempo indietro mi era sembrato naturale e quasi giusta, il tuo grande amore per me non aveva spazio per altri esseri che potessero rubare i nostri spazi.
E anche quella volta avevo pensato di scegliere, ma così non era, il tuo egoismo affluiva nel mio corpo, esplodeva nel mio spirito, determinava delle scelte che non erano le mie ma alle quali mi legavo strettamente come se lo fossero.
Lasciare il mio lavoro perché il tuo era più importante, anche questa mi sembrò una mia scelta giusta tanto il mio ed il tuo amore avrebbero riempito quello spazio vuoto.
Lasciare la mia città per scegliere la tua dove secondo te si viveva meglio, ma soprattutto c'era il tuo lavoro, tutto il "TUO" era più importante del piccolo "mio".
Adesso sto qui in compagnia del mio Alien e dei miei dubbi, perché l'ho fatto, perché ho lasciato il mio tutto nelle tue mani, perché ho abbandonato le mie idee per le tue certezze, perché...perché..e mi logoro nella stanchezza di quesiti che resteranno senza risposte.
Guardo di nuovo verso la Porta Alchemica, il suo vero ed antico nome, fisso le due statue che sembrano guardarmi chiedendomi anche loro "perché l'hai fatto?", all'improvviso una grande luce ferisce i miei occhi, non riesco più a vedere, mi lascio andare a quella luminosità che sento entrare nel mio corpo, l'attraversa, lo riempie, sento una strana forza che mi inebria, il mio viso si rilassa, la mia mente abbandona quegli orridi pensieri, mi accorgo che la porta si apre, anzi si spalanca ed io mi sento attratta, mi lascio trascinare mi alzo e cammino verso di lei, percepisco una voce che stranamente mi risuona familiare.
Entro senza più paure, senza timori, conscia della capacità di comprendere quello che mi sta accadendo.

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